martedì 21 agosto 2007

Il vento su Buenos Aires

E’ un giovedì senza vento, in Plaza de Majo. Teste stipate come nella pancia di una nave, in Plaza de Majo. Sono teste come la mia, o come la tua che hanno occhi fatti di acqua, di nervi, di sangue. E il sangue negli occhi é tanto e ramifica come le radici nella terra. Tanti occhi di sangue ma anche pochi occhi di vetro. Poche sono le madri coi fazzoletti bianchi e pochi sono gli occhi di vetro. Sono occhi di quelle madri che dentro sono vuote, cave come gli ulivi millenari. Non hanno più linfa nelle vene. Le muove solo il dolore, un dolore immenso che la piazza di maggio non lo può contenere; un dolore violento che la città di buenos aires ne viene incendiata; quello delle madri che hanno teste cinte da un fazzoletto senza peccato é un dolore senza confini che se lo guardi dalla cordigliera é un mare che sommerge tutto, é un mare come l’inchiostro delle seppie, é un mare d’anguille dalle teste tagliate che buttano fuori sangue ma continuano a danzare. Il dolore delle madri dai fazzoletti bianchi e dagli occhi di vetro é denso, pesante oltre il metallo più pesante. E’ un dolore che spacca la crosta della terra, é un dolore che sprofonda nelle viscere, un dolore che trapassa i pianeti, un dolore che sbriciola i satelliti, che percorre lo spazio e spegne le stelle. E’ un dolore che spegne le luci, tutte le luci. Un dolore che ci lascia al buio. Gli occhi delle madri che tolgono la luce sono finestre, sono lastre di vetro. Ho avvicinato quelle madri; e mi sono affacciato alle loro finestre. E ho visto. Non c’é più sangue, né nervi, ne acqua. Non ci sono polmoni, perché respirano solo dolore. Non ci sono le reni, perché dentro sono deserto.Solo una fotografia ho visto. Un lume di cera rossa le illumina. La fotografia di un viso, lo stesso viso che portano al collo. Visi belli come quelli di mio nonno prima della guerra. Visi vivi e pieni di sangue. Visi con gli occhi della madre, visi con le guance della madre. Le stesse labbra di madre. Labbra che hanno baciato la madre e che dalla madre sono state baciate. Visi solcati dalle lacrime che le madri non hanno potuto asciugare. Le lacrime di mio nonno davanti al treno che bagna la camicia verde militare.
E’ un giovedì di vento sulla cordigliera. E’ il vento del pacifico che porta aria di mare. Corre dritto e veloce lungo il parallelo. Nasce nella fine del mondo e gira come un cane che si morde la coda. Il sudafrica non lo ostacola, l’australia non lo ostacola. Raccoglie il gelo dell’antartide e la sabbia del deserto. Il dolore lo alimenta come un mantice. E’ vento ma é anche fiume. E’ un fiume nella stagione delle piogge. Un fiume che abbatte i confini, che scavalca gli argini. Un fiume percorso da tronchi, da terra, da urla. Diventa un vento che non si é mai visto. Che gonfia e si gonfia come il ventre delle persone malate. Come il ventre di mio nonno in un letto d’ospedale. Un vento che d’improvviso cambia direzione. D’improvviso come le cose che fanno male. Un vento che diventa diagonale, che affetta l’Argentina e punta dritto al cuore di Buenos Aires. E strappa le carte delle avenida, e congela e spacca le finestre in mille pezzi di vetro. Un vento che entra in casa delle persone in divisa verde militare e le investe con mille e altri mille e altri mille pezzi di vetro, come le lastre degli occhi delle madri. Vetro che sega le guance dei tenenti e dei generali. Vetro che lascia un sorriso beffardo come una mezzaluna; un sorriso da orecchio a orecchio, pieno di denti, di gengive, di sangue. Vento violento che spacca l’indifferenza; vento compresso pieno di lacrime, di denti, di pietà. I denti delle persone che erano in fondo al mare. I denti estirpati dagli anfibi delle persone in divisa verde militare. Corre come le tragedie che non si possono fermare e punta i seni cadenti delle madri dagli occhi di vetro. Seni che non possono più allattare. Ma é un vento che rispetta il dolore, perché dello stesso dolore si nutre. E in prossimità delle madri della Plaza de majo piomba in alto, come una cascata contraria. E nel cielo si disperde. Torna il silenzio; lo stesso silenzio degli occhi delle madri dai fazzoletti bianchi. E poi, come un regalo, quel vento lascia cadere una pioggia. Una pioggia di 30000 gocce, gocce da mezzoquintale, gocce da un quintale. Gocce che sono corpi. Corpi pescati in fondo al mare. Corpi, che sono bambini. Corpi, che sono figli. Che sono figlie. Che sono padri. Madri. Compagni. Compagne. 30000 corpi, 30000 sacchi; sacchi di plastica nera. Sacchi che non fanno vedere. Sacchi al posto di teste, sacchi al posto di idee. Sacchi che vorrebbero parlare ma che non possono più farlo, proprio come quelle madri della piazza di maggio, che anche volendo, non possono più sanguinare.

16 commenti:

artemisia ha detto...

È bellissimo.

Anonimo ha detto...

ah, mi pare di capire che siamo vicini di casa... :) grazie per la visita e buona giornata...

kabalino ha detto...

@Artemisia sono felice che ti piaccia; é un pò confuso, dovrei spiegare un pò di cose ma va bene così. Ieri sera ho visto un reportage sulle madri di Plaza de Majo e ho avuto un'urgenaza...dovevo per forza scriverlo.

@Naima: sei sei della provincia di ravenna siamo vicinissimi di casa. Se sei della provincia di forlì, al limite limite della provincia di rimini o ferrara, via, siamo abbastanza vicini di casa.
Buona giornata anche a te

Anonimo ha detto...

commuovente, ma stilisticamente un po' circolare...
- certo che svegliarsi e pensare cosí...complimenti! Se tu fossi mio marito peró e mi svegliassi la mattina con te che mi fai un racconto cosí, non so cosa sarei capace di fare/farti :-)

kabalino ha detto...

@Artemisia: mi é venuto il dubbio che un'urgenza non si apostrofa, invece si apostrofa...ormai ho il terrore

@Guressa: eh, lo so che stilisticamente é un pò circolare e anche ripetitivo; non é ne carne ne pesce...ma mi é uscito così in un momento di fragilità emotiva e così lo lascio.
Guressa sei facile alla seduzione delle parole?

Anonimo ha detto...

Davvero bello. Caleidoscopio di emozioni rarefatte dal vento.

artemisia ha detto...

Scusa ma io non sono d'accordo con te, guressa, secondo me è proprio la circolarità stilistica il bello di questo racconto. Più lo leggo e più lo trovo perfetto.

(l'avevo previsto, già stiamo cominciando ad accapigliarci sul tuo blog, kabalino!)

Ma quale terrore! La regola è facile: l'articolo indeterminativo femminile si apostrofa quando precede sostantivi che iniziano con vocale. Che profonda gratificazione enunciare regole! Io amo le regole, ma ancora di più le eccezioni.

kabalino ha detto...

@novocaine: grazie, sono lusingato...

@Arte: già mi fa piacere che tu lo abbia letto più di una volta, il fatto che lo trovi perfetto, bhé...non posso usare il termine...cmq mi fa più che piacere. Lo so che la regola é facile ma ora mi sento insicuro.
Viva le eccezioni|!

Anonimo ha detto...

emozionante... parla delle madri dei desaparecidos credo... almeno, io le vedrei così...
sembra quasi che tu sia davvero stato là...

kabalino ha detto...

e vedi bene...parlo proprio delle madri dei desaparecidos; in realtà non sono mai stato in Plaza de Majo anche se ho visto diversi documentari su quelle madri; l'altra sera ho visto l'ennesimo che come sempre mi ha commosso e allora ho voluto scrivere qualcosa.
Dovrei spiegare un pò di cose perché si capisca meglio ma va bene così, ancor di più se riesce a dare qualche emozione...

Anonimo ha detto...

NOOoooOOOooo! Non sono facile alla seduzione delle parole! Quello che intendevo dire é che di mattina presto, potrei tentare di infliggerti qualche tortura!!! :-)

kabalino ha detto...

Ah! pardon...no, le torture no! sono un ragazzo fragile, fragilissimo. E comunque non leggo mai agli altri quello che scrivo, quindi saresti salva.

Anonimo ha detto...

si, ma non ti devi offendere. Anzi, se tutta questa é veramente farina del tuo sacco, e per di piú lo fai di getto, scrivi davvero bene, sei bravo un casino; quello che intendevo nel 1° commento é che di mattina presto, appena sveglia, é probabile che non sarei in grado di apprezzare nemmeno Shakespeare!
:-)

kabalino ha detto...

Guressa! Non solo é farina del mio sacco ma praticamente é tutto autobiografico...compresa l'ultima cosa della ragazza che mi hanno appioppata alle medie; anche se sembra assurdo é davvero successo...é stata una settimana d'inferno. Le uniche cose non scritte di getto sono le ultime due...ci ho lavorato un pò su (ma manco tanto), grazie per il bravo un casino...dire che sono lusingato é poco; e cmq la mattina ti lascerei carburare e non leggerei nulla ;)

Anonimo ha detto...

9+ ... e non vado oltre perche' non ti chiami Hemingway ;) congratulazioni

Un'urgenza si scrive cosi':e' femmina, e le femmine voglio sempre qualcosa di piu', ma solo perche' lo vuole le regole di italiano.
Io le femmine (umane) le ho sempre trattate solo come esseri umani, insomma, parafrasandoti, mi sembra di non aver punzecchiato mai abbastanza.

kabalino ha detto...

kijio grazie davvero...mi fa piacere se quello che scrivo lascia qualcosa...soprattutto questo delle madri di plaza de majo;
hai ragione da vendere...le femmine vogliono sempre qualcosa di più...e pure io le ho sempre rispettate...perché nonostante le cose aberranti che si dicono su di loro :-)....meritano tutto il nostro rispetto