giovedì 30 agosto 2007

Un whisky con ghiaccio....fallo doppio, vah

Questa sera sono così fragile che per un pò ho persino guardato il tramonto. E ho messo su un paio di canzoncine di quelle che fanno male solo a leggerne il titolo. Una é un tempo piccolo del maestro Califano, quello per cui le donne sono un cabaret di pasticcini. ......dipinsi l’anima su tela anonima....diventai un albero per oscillare.....dai, é roba grossa. L’altra parla di un tipo che io ho sempre creduto essere una tipa...una roba brutta. Poi dopo aver rimirato il tramonto ho rimirato per cinque minuti buoni la mia immagine riflessa nel vetro. Se avessi avuto il calibro per il cranio del Lombroso avrei cercato dei tratti distintivi della mia fragilità ma niente, il calibro non ce l’avevo. Boh, forse mi sto trasformando in una donna e non lo so ancora. Comunque, nel caso, sarei una donna a cui piacciono le donne (sta cosa tecnicamente ha un nome ma preferisco non scriverla per non offendere nessuno...perché dopo dicono che non si chiamano così ma si chiamano nell’altro modo e si riuniscono in un’associazione...e allora io non scrivo niente). Oppure ho una malattia che andrebbe a genio ad House con l’incoveniente di subire una morte apparente e diventare un topo da esperimento. Magari bevessi superalcolici, così andrei dal mio barman di fiducia e picchiando sul bancone ordinerei un whisky con ghiaccio. Poi mi guarderei in giro e gli farei capire, con uno sguardo, di prepararne uno anche per la bellona che mi si é seduta a fianco. E intanto il pianista, che con le mani in mano non sa stare, ha attaccato con...you must remember this, a kiss is still a kiss........as time goes by (dai, é quella di suonala ancora sam, casablanca). La cosa che mi ha steso più di tutte é che l’omino che si occupa dei miei capelli è andato in ferie. E io mi son comprato una macchinetta per i capelli della Braun; forse la uso. L’intenzione é di creare un effetto Taxy driver. Faccio la faccia cattiva di De Niro e me li rado. Ci penso ancora un pò e poi forse lo faccio.

mercoledì 29 agosto 2007

Kabuki - sindrome della maschera

Vorrei che il mio medico curante fosse il dottor house, anche perché il mio attuale medico assomiglia a hitler. Non scherzo, é la fotocopia del famoso tiranno (baffetti a scopetta compresi). Se all’ascolto c’é un informatore farmaceutico della provincia di ravenna sa benissimo di chi sto parlando. E poi va in bicicletta come me; questo significa che non siamo complementari e per la diagnosi delle malattie la non complementarietà è un disastro. Ha anche paura di toccare le persone. Ti osserva solamente e fa la diagnosi con lo sguardo. Ha un mucchietto enorme di bastoncini per abbassare la lingua e una stampante piccolissima con la quale stampa le ricette. Il dottor house, invece, sarà anche un pezzo di mer*a ma il suo lavoro lo fa e alla grande. E’ vero che a volte si fa prendere la mano però bisogna capirlo perché ha male a una gamba. Solo che il dottor house cura quelli che hanno malattie rarissime. Gli altri non gli interessano. Piuttosto che curare quelli con malattie normali tipo la polmonite o i calcoli gioca alla playstation o rotea il suo bastone per i corridoi dell’ospedale. Per questo stavo pensando a quale malattia rara posso avere. Perché di sintomi ne ho tanti. Non si scherza su queste cose, lo so, ma sono un pò ipocondriaco e ogni tanto mi viene in mente che potrei avere una malattia rara, ed é per quello che gli altri non mi capiscono. Una volta uno che era andato dal dottor house era disperato perché aveva girato un casino di ospedali e nessuno l’aveva guarito. Al dottor house s’erano illuminati gli occhi e a quello lì aveva cominciato a fare una sequela di esperimenti fino a portarlo alla morte apparente per poi riprenderlo per i capelli e riportarlo alla vita. Alla fine gli aveva detto che era carente di ornitina transcarbamilasi. Insomma per guarire era sufficiente che smettesse di mangiare bistecche. Tutto qui. E il bello del dottor house é proprio questo che alla fine tutto finisce in una bolla di sapone. Sto guardando un elenco di malattie rare, l’unica che non ha un nome incomprensibile é Kabuki – sindrome della maschera. Il kabuki é il teatro giapponese e questa malattia ti fa assomigliare a un attore di kabuki...come se avessi una maschera di trucco. Non ve la sto a spiegare nei dettagli: é una malattia tremenda e il suo nome conciliante frega. Tuttalpiù potrei avere una malattia provocata dalle formiche volanti. Ne sto mangiando a chili in questo periodo perché vado in bicicletta lungo i fiumi. Le loro regine in questi giorni le stanno portando fuori dalla reggia perché é arrivato il momento di volare. E le fanno volare soprattutto sui fiumi. E visto che io sono un ragazzo di fiume pedalo spesso in mezzo a questi nugoli. E, se sono in debito di ossigeno, mi si apre una piccola fessurina nella bocca. E da lì entrano le formiche volanti. Il dottor house é appassionato di malattie procurate da animali esotici...può darsi che le formiche volanti gli vadano a genio.

martedì 28 agosto 2007

Ah! Bobby Jean nel senso di Bobby...Jean

Via, fuori gli scheletri dall'armadio. Bobby Jean di Bruce Springsteen da quando mondo é mondo smuove in me uno spontaneo moto di commozione. Ho sempre creduto che Bobby Jean fosse una donna, oggi ho scoperto che é/era un uomo. Niente di male, ma ha cominciato a sanguinarmi il naso...

Un posto disordinato

Sono stato in un posto che lascia dentro una sensazione di disordine e che quando te ne vai ti restano situazioni aperte con te stesso e con gli altri. E' un posto che non é proprio un posto di mare anche se ci sono ombrelloni aperti in qua e in là, di quelli di stoffa a bande colorate ma anche di quelli sfrangiati a fibre di cocco, un pò aperti e un pò chiusi, con le ciabatte di uno che chissà perché vanno a finire sotto il mio ombrellone e le mie che cercano l'ombra del lettino di un altro. Non sarebbe male come posto ma ad un certo punto del pomeriggio ti viene addosso l'ombra della montagna e allora se volevi prendere il sole ti tocca prendere su le tue cose e spostarti un pò più in là; ma se sei come me, l'ombra della montagna ti fa una pi**a perché io sono amico dell'ombra, tranne quando vado in bicicletta che sono amico del sole (ma senza esagerare). E ad un certo punto della giornata il chiacchiericcio si spegne e cala un grande silenzio, e chi non é abituato a questo tremendo silenzio parla per combattere la paura e parla anche forte per coprire più possibile quel silenzio. E durante quell'ora in cui nessuno fa beo sembra che la regola sia guardare verso il mare come se nel continente che sta al di là dell'orizzonte ci fosse colui/ei che ti ha rubato il cuore ma che per ora non può tornare o tu non puoi andare. E se hai fame ci sono solo ristorantini sulla sabbia che sembra li abbiano portati lì direttamente dagli anni cinquanta o anche prima. Che li abbiano caricati tutti interi su di un camion e poi li abbiano portati lì. Con le panche di legno e i tavoli di legno corrosi dalla sabbia che di così belli li avevo visti solo a Praga. E poi il tettuccio della veranda é fatto di tante canne sottili legate , e anche le barriere contro la sabbia sono uguali al tettuccio anche se messe in verticale. Ma tanto la sabbia entra lo stesso. E quando vai via da quel posto un pò di sabbia é entrata anche dentro di te e non ti lascia più tranquillo. E sempre in quel posto il mare un pò viene e un pò va come se non fosse tanto sicuro su cosa fare. Insomma é un posto da prendere con le molle e va bene per persone che un certo equilibrio lo hanno già raggiunto, non per quelle che si trovano con il baricentro che cade al di fuori della propria persona. Perché se il grande silenzio ti coglie con il baricentro di fuori, bhé amico, sei davvero nella merda come se avessi un alien nella pancia.

p.s.1: per le formiche volanti
ve lo dico in amicizia, però...andate tutte a fancu*o!

p.s.2: per chi so io e per chi sa lei
senti carissima io le cosine che ti do, i film che ti do e l'altra robina te li do perché mi va e non perché voglio che tu ogni volta mi dai un regalino o roba del genere...non che non mi faccia piacere però sai di che brutta razza sono fatto e così mi metti a disagio, fai la bravina dai.
E anche se non scrivi niente lo so che tanto leggi...

venerdì 24 agosto 2007

Memorie di un bambino comunista

Lo ammetto...sono stato un bambino comunista. Crescere all’ombra del glorioso e monolitico partito comunista italiano, p.c.i. per i compagni, era quasi come avere due padri...di cui uno ti dava la paghetta e l’altro ti rubava il tempo (ma a fin di bene). E badate, un conto é fare il bambino comunista nelle altre 19 regioni e un conto é farlo in romagna. Chi é nato qui, e ama questo posto sa che ci sono cinque o sei cose dalle quali non si può prescindere e tra queste ci sono le feste dell’unità. E io di feste dell’unità ne so qualcosa. Se sei il figlio di colui che rappresenta il partito nel tuo paese, bhé, devi comportarti in modo consono. A sei anni, la domenica mattina, diffondevo l’Unità con mio padre. In pratica si andava dall’edicolante del paese, che pure lui era un sovversivo, e si pigliava la materia prima. Da uno scantinato l’omino dei giornali tirava fuori una pila di quotidiani del partito freschi di stampa. Sembrava che ci consegnasse una cassa di fucili a ripetizione. Poi si andava di casa in casa a far pressione sulla gente perché acquistasse il giornale...ed io ero l’arma segreta per muovere a compassione le azdore romagnole. Di solito funzionava perché, al tempo, avevo il phisique du role del bambino della pubblicità dell’orzobimbo (quello con il caschetto d’oro che sembrava uno dei Bradford). Poi alle dieci mio padre mi portava a casa perché alle undici dovevo andare a messa. Un quarto d’ora mi ci voleva solo per lavare le mani che erano nere dall’inchiostro dei giornali. A 8 anni mi aggiravo, guanti alla mano, per i piazzali romagnoli con morsetti e tubi innocenti per montare gli stand delle feste dell’unità. Spostare lamiere, facendo attenzione a non tagliarsi, indicare al tizio in cima alla torre di tubolari dell’entrata dove collocare le bandiere...mi sentivo l’architetto del mondo. Che tempi!. Sì, ma mica partecipavo solo alla festa del mio paese...col cavolo; se qualcuno dei paesi in giro aveva bisogno di una mano si andava...d’altronde si era compagni mica per niente. L’intervento più disperato lo si fece a Cannuzzo...un paesino, che se la romagna la si considera come il mondo, si trova proprio in cu*o al mondo. La mattina del giorno stesso in cui la festa doveva cominciare quelli di Cannuzzo telefonano alla nostra sezione che sono disperati e non sanno come fare e altre robe così. E noi che altro si può fare? Si va. Il viaggio l’ho fatto con due tizi di cui quello che guidava era il latinlover del mio paese. Si era su un furgoncino scassato pieno di lamiere, casse di morsetti e roba così. Che ad una prima occhiata si poteva pure scambiare per il camioncino del robivecchi. Insomma, questo qua che guidava suonava ad ogni signora o signorina in bicicletta o ferma da qualche parte. Metteva fuori la testa dal finestrino, fischiava e altre amenità del genere. Poi mi diceva come si doveva fare con le donne, le mosse segrete e via discorrendo. E io mi vergognavo anche un pò. Insomma tra ca**i e sdazzi siamo arrivati là a mezzogiorno. Questi di Cannuzzo erano arrivati a montare neanche mezza festa...ma io dico...darsi una mossa prima no? Dopo un pò il latinlover era già in cima ad un castello di tubolari a torso nudo per farsi vedere dalle signore di Cannuzzo. E urlava di lanciargli dei morsetti. Quelli del mio paese ridevano perché lo conoscevano bene. Finimmo di montare gli stand un’ora prima che la festa cominciasse con una sudata di quelle da leggenda. Quel giorno telefonai per la prima volta da una cabina. Mio padre mi diede un gettone, di quelli di una volta...quelli belli gialloni con due scanalature da una parte e una dall’altra. Quando dissi a mia madre che avremmo fatto un pò tardi lei si scaldò subito dicendo che mio padre era un irresponsabile e robe così. Ma io quella sera mi sentivo proprio bene.

giovedì 23 agosto 2007

Come un'anguilla nella bacinella (1)

A quel tempo portavo i capelli con la riga nel mezzo, del tipo un pò di capelli di qua e un pò di capelli di là. Ma erano così fitti che quasi subito la riga scompariva e ne restava solo un’impronta. Me li pettinava mia mamma o almeno cercava di farlo; passandoci la spazzola così forte come cardasse un panno di lana. Ho sempre pensato che pettinare i miei capelli fosse una perdita di tempo e così più che buttarci sopra un pò d’acqua non facevo, anche perché dalle sopracciglia in su assomigliavo a James Dean in Gioventù bruciata. E onestamente la cosa mi stava bene così.
La settimana nera, il 1929 dei miei 13 anni, esplose come un fulmine a ciel sereno in un freddo mattino di primavera. Un mattino terso, pieno di nuvolette bianche e di tanto cielo azzurro. Un mattino ideale, un mattino che meriterebbe di essere vissuto a cuor sereno; e invece...
Me ne stavo tranquillo, seduto al mio banco, a tormentare con la punta della matita il vero amore dei miei 13 anni: una ragazzina dai capelli lunghi, neri e crespi che dominava il mio cuore come Pantani spianava le salite. La quasi totalità delle ore di lezione la passavo a fissare la schiena di quella ragazzina, a pungerla, a molestarla, a tirarle palline di carta...insomma, a dimostrarle il mio amore. E lei, che stupida non era, lo aveva capito. Per farla corta, quel lunedì mattina quando mancava ancora un quarto alle otto il mondo mi crollò addosso e in un secondo piombai nell’età adulta (con tutto quello che ne consegue). Arrivò in classe nostra una tipa mai vista e mai conosciuta con un passo da bersagliere e una missione da compiere, glielo si leggeva negli occhi. Parlottò con qualcuno e quel qualcuno le indicò me. Non capivo. Lei si avvicinò risoluta e risoluta mi comunicò la sua inappellabile verità: da quel momento io e una certa Barbara di III C stavamo insieme, insomma eravamo ragazzo e ragazza, forse fidanzati o addirittura amanti. L’età dell’innocenza, per me, si chiudeva lì. Non sto a dirvi che quella tal Barbara di IIIC io non sapevo neppure com’era fatta. Provai a sottrarmi a quel destino, a fare delle rimostranze, a cercare solidarietà nello sguardo di chi mi stava intorno. La solidarietà negli esseri umani di 13 anni é pura fantasia e così tra urla e ghignate mi inchiodarono alle mie responsabilità: e giù a dire che ormai non era più tempo di giochi, che a lei piacevo, che era ora di metter su famiglia e altre facezie del genere. Mi sentivo come un’anguilla nella bacinella.

martedì 21 agosto 2007

Il vento su Buenos Aires

E’ un giovedì senza vento, in Plaza de Majo. Teste stipate come nella pancia di una nave, in Plaza de Majo. Sono teste come la mia, o come la tua che hanno occhi fatti di acqua, di nervi, di sangue. E il sangue negli occhi é tanto e ramifica come le radici nella terra. Tanti occhi di sangue ma anche pochi occhi di vetro. Poche sono le madri coi fazzoletti bianchi e pochi sono gli occhi di vetro. Sono occhi di quelle madri che dentro sono vuote, cave come gli ulivi millenari. Non hanno più linfa nelle vene. Le muove solo il dolore, un dolore immenso che la piazza di maggio non lo può contenere; un dolore violento che la città di buenos aires ne viene incendiata; quello delle madri che hanno teste cinte da un fazzoletto senza peccato é un dolore senza confini che se lo guardi dalla cordigliera é un mare che sommerge tutto, é un mare come l’inchiostro delle seppie, é un mare d’anguille dalle teste tagliate che buttano fuori sangue ma continuano a danzare. Il dolore delle madri dai fazzoletti bianchi e dagli occhi di vetro é denso, pesante oltre il metallo più pesante. E’ un dolore che spacca la crosta della terra, é un dolore che sprofonda nelle viscere, un dolore che trapassa i pianeti, un dolore che sbriciola i satelliti, che percorre lo spazio e spegne le stelle. E’ un dolore che spegne le luci, tutte le luci. Un dolore che ci lascia al buio. Gli occhi delle madri che tolgono la luce sono finestre, sono lastre di vetro. Ho avvicinato quelle madri; e mi sono affacciato alle loro finestre. E ho visto. Non c’é più sangue, né nervi, ne acqua. Non ci sono polmoni, perché respirano solo dolore. Non ci sono le reni, perché dentro sono deserto.Solo una fotografia ho visto. Un lume di cera rossa le illumina. La fotografia di un viso, lo stesso viso che portano al collo. Visi belli come quelli di mio nonno prima della guerra. Visi vivi e pieni di sangue. Visi con gli occhi della madre, visi con le guance della madre. Le stesse labbra di madre. Labbra che hanno baciato la madre e che dalla madre sono state baciate. Visi solcati dalle lacrime che le madri non hanno potuto asciugare. Le lacrime di mio nonno davanti al treno che bagna la camicia verde militare.
E’ un giovedì di vento sulla cordigliera. E’ il vento del pacifico che porta aria di mare. Corre dritto e veloce lungo il parallelo. Nasce nella fine del mondo e gira come un cane che si morde la coda. Il sudafrica non lo ostacola, l’australia non lo ostacola. Raccoglie il gelo dell’antartide e la sabbia del deserto. Il dolore lo alimenta come un mantice. E’ vento ma é anche fiume. E’ un fiume nella stagione delle piogge. Un fiume che abbatte i confini, che scavalca gli argini. Un fiume percorso da tronchi, da terra, da urla. Diventa un vento che non si é mai visto. Che gonfia e si gonfia come il ventre delle persone malate. Come il ventre di mio nonno in un letto d’ospedale. Un vento che d’improvviso cambia direzione. D’improvviso come le cose che fanno male. Un vento che diventa diagonale, che affetta l’Argentina e punta dritto al cuore di Buenos Aires. E strappa le carte delle avenida, e congela e spacca le finestre in mille pezzi di vetro. Un vento che entra in casa delle persone in divisa verde militare e le investe con mille e altri mille e altri mille pezzi di vetro, come le lastre degli occhi delle madri. Vetro che sega le guance dei tenenti e dei generali. Vetro che lascia un sorriso beffardo come una mezzaluna; un sorriso da orecchio a orecchio, pieno di denti, di gengive, di sangue. Vento violento che spacca l’indifferenza; vento compresso pieno di lacrime, di denti, di pietà. I denti delle persone che erano in fondo al mare. I denti estirpati dagli anfibi delle persone in divisa verde militare. Corre come le tragedie che non si possono fermare e punta i seni cadenti delle madri dagli occhi di vetro. Seni che non possono più allattare. Ma é un vento che rispetta il dolore, perché dello stesso dolore si nutre. E in prossimità delle madri della Plaza de majo piomba in alto, come una cascata contraria. E nel cielo si disperde. Torna il silenzio; lo stesso silenzio degli occhi delle madri dai fazzoletti bianchi. E poi, come un regalo, quel vento lascia cadere una pioggia. Una pioggia di 30000 gocce, gocce da mezzoquintale, gocce da un quintale. Gocce che sono corpi. Corpi pescati in fondo al mare. Corpi, che sono bambini. Corpi, che sono figli. Che sono figlie. Che sono padri. Madri. Compagni. Compagne. 30000 corpi, 30000 sacchi; sacchi di plastica nera. Sacchi che non fanno vedere. Sacchi al posto di teste, sacchi al posto di idee. Sacchi che vorrebbero parlare ma che non possono più farlo, proprio come quelle madri della piazza di maggio, che anche volendo, non possono più sanguinare.

lunedì 20 agosto 2007

La locanda della felicità

Sono stato superato da una donna. Questa mattina una ragazza di fattezze teutoniche mi ha superato. Credevo che la provincia occidentale di ravenna fosse stata oggetto di un attacco nucleare. Non c’era anima viva in giro e mi sono tastato i capelli per vedere se erano ancora al loro posto. C’erano. Al telegiornale son passate le immagini di Putin che si lavava il petto al fiume. Pensavo gli fossero presi i 5 minuti. In questi giorni é intrattabile. Mi é venuto in mente il monumento alla gru di Hiroshima. Le gru di carta che fanno i bambini giapponesi sono un simbolo di pace. Ma stamattina ho creduto che qualcuno se ne fosse dimenticato. Ho dato un’occhiata in giro e c’era solo un signore anziano in canottiera su una carozzina. Se ne stava tranquillo sotto la magnolia del suo giardino e parlava con qualcuno attraverso una finestra. Romeo non c’era, Cassius nemmeno, il piccolo lord assente...che cavolo. Fortuna che Dixan stava al suo solito posto e si leccava le sue solite cose. Mi fermo alla fontana e metto la testa sotto l’acqua...riparto tranquillo. Cioé... tranquillo, ma di buona lena. Del tipo che nessuno, tranne un professionista, possa superarmi. Pedalo, pedalo...ad un certo punto una ragazza carina, bionda bionda e coi bicipiti suppergiù come i miei mi supera senza fatica apparente...la guardo abbastanza stravolto, lei si gira e mi sorride. Ha un viso fresco che sembra essersi appena svegliata. Una rabbia sorda e feroce mi ribolle dentro. Una donna!...non é possibile. Raccolgo tutte le forze e ordino che si concentrino sui polpacci. Ci provo...ma riesco a restare solo incollato alla ruota. Rimanere in scia e sfruttare la sua fatica é ancora più umiliante. A dire il vero ha il sedere un pò abbondante. Lo fisso come se fosse la targa di una macchina. Sia chiaro...lo fisso senza secondi fini...nel senso sportivo del fissare. Tipo come obbiettivo, come target...mi sto incartando...insomma nel senso...quello mi ha superato mò lo risupero. Arriva la salita, lei si alza sui pedali e se ne va...tra l’altro imbocca la stradina ripida. Io non ho il coraggio perché mi ha già spremuto abbastanza. Allungo il percorso e faccio la strada dei pavidi. Arrivo alla Locanda della felicità ansimando come Lord Fenner in guerre stellari. Porca tro*a!...me la ritrovo davanti. La signorina già fresca di doccia e coi capelli bagnati sta chiudendo il cancello della locanda della felicità. Mi sa che é la padrona. Sta portando al pascolo due dobermann enormi e sudati come cavalli dopo una corsa. Si gira verso di me e con un sorriso carino carino mi fa: “Ponciorno” (mi sa che é tedesca, o olandese, o svedese, o danese...di quei posti lì, dai). Io aspiro più aria possibile per dare l’impressione di essere fresco come una rosa e le faccio:”Bogiono” (con tutte le o aspirate, avrei voluto dire buongiorno). Ma non finisce qui. A noi!

sabato 18 agosto 2007

Appello a tutti i possessori di una casa fuori mano

Qui dalle mie parti ci sono due fiumi che ad un certo punto si uniscono e si fanno un pezzo di strada insieme fino al mare. E quando io non ho tanta voglia di pedalare fino alle colline seguo l’argine di uno dei due fiumi finché non si uniscono...poi c’é un ponte...attraverso e risalgo l’argine dell’altro fiume giusto fino a una chiesa sconsacrata (con canonica) che adesso é in vendita (se a qualcuno interessa posto il cellulare che é scritto su un cartello arancione appeso al campanile). Bhé, questa mattina mentre me ne pedalo tutto tranquillo sento una gran cagnara dietro di me. Mi giro e vedo un cocker che mi insegue a velocità folle in una nuvola di fumo; questo si é preso la briga di uscire dal suo cortile risalire la sponda dell’argine a tutta birra con l’unico scopo di quasi farmi cadere infilando il muso tra le razze della bicicletta. Ora io dico...a parte che il coker dovrebbe essere il cane più buono del mondo...ma i signori padroni...il cancello chiuso...no? E finché é un cocker va anche bene; che tanto dopo un pò comincia a inciampare nelle sue orecchie...ma visto che non più tardi di inizio estate al posto del cocker c’era un incrocio delle peggior razze.la chiusura del cancello diventa questione di vita o di morte. Quindi se siete possessori di una casa fuori mano con accesso su strada bianca, stretta, o argine di fiume che sia...non crediate che di lì non ci passi nessuno tranne voi perché siete in cu*o al mondo.Se vi interessa saperlo io di lì ci passo. E in secondo luogo alla mia vita ci tengo.Quindi per un’esistenza più serena e civile per tutti...collaborate. Grazie

venerdì 17 agosto 2007

Un alien nella pancia

Sono andato in fregola da post: ne scrivo troppi e senza senso (sempre che post e senso vadano a braccetto). E’ che in queste macilente giornate d’agosto mi sento come Sigourney Weaver. Se il tuo lavoro é andartene in giro per lo spazio su di un cargo spaziale insieme ad un equipaggio sudato la vita non ti va un granché. Ma se poi c’é un coso orrendo e con la bava che si aggira per l’astronave e non vede l’ora di infilartisi nella pancia...bhé...la vita, amico, ti va davvero di merda. E per quanto tu chiuda delle porte stagne di lui non ti libererai mai. E lo sai. Perché ogni volta che te ne vai in giro per l’astronave, camminando su una grata della quale non vedi il fondo, una musichetta sinistra ti accompagna. E qualcosa vorrà pur dire. Devo chiamare Sigourney e dirle di usare una damigiana di estratto di fiori di piretro la prossima volta...hai visto mai....

p.s.
non é che la vita mi vada di merda ma é la sensazione dell’alien che non mi lascia sereno

giovedì 16 agosto 2007

Kasia e Maya

Lo ammetto, oggi non ho un ca**o da fare. E siccome ho lo stomaco chiuso non ho neppure voglia di prepararmi il pranzo. Tutto colpa di una scommessa sconsiderata. E siccome insieme alla bicicletta il mio svago preferito é quello di scrivere facezie su qualsiasi cosa mi capiti a tiro mò scrivo il terzo post nel giro di un paio d’ore, tanto...E’ che stavo guardando una fiction mediaset che é passata in tv poco tempo fa. Premetto che di solito non amo le fiction, men che meno quelle mediaset. Solo Montalbano ha bucato il mio cuore. Comunque la fiction in questione é “Questa é la mia terra”. Protagonista é Giulia Corradi (alias Kasia Smutniak). In sostanza é talmente bella, brava e dolce che fa innamorare tutti quelli che gli capitano a tiro. Si sposa il più ricco anche se in realtà é innamorata del più povero. E pure il più turpe si prende una sbandata per lei; e nella fattispecie il turpe della questione sono io. Sì, lo ammetto, mi sono preso una sbandata per Kasia Smutniak. E’ che é proprio bella, quel bello che non ti stanca; e poi da l’idea della ragazza tutta d’un pezzo. Del tipo che se le donne si dividono in due categorie lei rientra in quella delle mogli e non in quella delle amanti. Lo so che questa é una becera semplificazione e me ne scuso in anticipo, ma tenuto conto che noi uomini siamo suddivisi in un’unica categoria, quella degli uomini appunto (e peggior categoria non c’é), mi prendo la libertà di tracciare questa linea di separazione e mettere un pò di donne di qua e un pò di là. Il mio problema é che guardo i film come mia nonna. Guardo i film a bocca aperta (bhè aperta aperta no, diciamo socchiusa). E tutto mi meraviglia, così sono facile alle infatuazioni...mi é capitato con Audrey Tautou prima e con Maya Sansa poi. Anzi con Maya Sansa continua ancora anche se é da un pò che non la vedo sullo schermo e non capisco perché. Maya Sansa ha il sorriso più bello che ricordi, a parte quello di una mia amica che però non mi parla più per altre questioni. Per tornare a Kasia ho scoperto che sta con Pietro Taricone. Hanno un bambino. Pietro Taricone ultimamente sembra voler dare sfoggio di intelligenza ma accompagnata da un bagno di umiltà. Credo che sia solo felice. Beato lui. Lo so che non dovrei parlare così liberamente di donne impegnate ma tanto stasera, dopo che l’istrice sarà caduto alla curva di S.Martino, sarò un uomo finito. Perciò...

Hop istrice hop!

Mi faccio schifo. E anche mio cugino mi fa schifo. Amo i cavalli e gli animali in genere e vorrei che nessuno facesse loro del male. Sono perfettamente conscio che dopo il cervello umano l’articolazione del cavallo é l’opera più complessa in natura. Ma l’animo umano é turpe, ed io e mio cugino non facciamo differenza.
Così da questa mattina stiamo pesantemente scommettendo sulle contrade del palio di Siena. Da vox populi ci é arrivata notizia che istrice e montone sono favoriti...e appena hanno inquadrato l’istrice ho urlato: mio! E così sto puntando gran parte dei miei averi sull’istrice. Non c’é nessuna logica in questo ma nemmeno la turpitudine umana ha una logica. Tra i beni mobili facenti parte della mia puntata ci sono anche le mie gatte. Mio cugino ha detto che non sa cosa farsene ma io gli ho risposto che per me hanno un valore incalcolabile e che quindi pure lui deve puntare qualcosa di incalcolabile. Il giorno in cui arriveranno per pignorarmi le gatte credo che non avrò neppure il coraggio di guardarle negli occhi. Loro sono talmente buone che di sicuro mi perdoneranno ma sarò io a non perdonare me stesso; probabilmente quando mi renderò conto di quanto sono caduto in basso annegherò il mio dolore nell’alcool. Non giudicatemi. Se le cose non dovessero andare come dico da stasera sarò molto più povero.

I fiori di piretro

Le zanzare mi stanno addosso; a loro piaccio, su questo non ci piove. Oggi ho fatto un investimento significativo sull’ultima frontiera della lotta contro le zanzare: un insetticida all’estratto di fiori di piretro. Me lo sto rigirando tra le mani da un pò e sento di aver la vittoria in pugno. Odio le pubblicità di prodotti che usano la natura come specchietto per le allodole. Odio tutte le pubblicità. Ma quelle del tipo l’abbronzante all’estratto di birra nera o il dentifricio ai semi di pompelmo le odio ancora di più. Sui perché é inutile sindacare...sta difatto che oggi son cascato sui fiori di piretro non avrei voluto ma é successo; é che mi sento indifeso contro le zanzare, quasi nudo. Loro mi stanno davvero addosso e io non sopporto che qualcuno si avvicini entro i dieci cm dal cilindro ideale formato dalla mia persona...é inutile star a dire del perché e del percome ma é così. E dove abito io le zanzare si sentono a casa propria e quindi non fanno altro che fare i loro porci comodi. La bassa romagna é terra di zanzare, e lo é da quando mondo é mondo. Le terre di qui sono terre di bonifica e prima lo erano di malaria. Paludi e acquitrini a perdita d’occhio un tempo, solo zanzare ora. Eravamo così bravi con le paludi che il duce ci ha caricato sulle camionette e ci ha portato a bonificare l’agro pontino. E noi ci siamo andati, tanto da zanzare a zanzare non é che si aveva tanto da perdere. I fiori di piretro assomigliano ai fiori di camomilla e sono della famiglia dei crisantemi (non é uno scherzo)...quindi se tanto mi da tanto o cadono stecchite o almeno cadranno addormentate....

lunedì 13 agosto 2007

Cassius & C.

Cinque di mattina di un sabato di luglio (per la cronaca quei sabati da quaranta gradi all’ombra a mezzogiorno), canta il gallo, la mia gatta sale sul davanzale della finestra e si fa le unghie sulla zanzariera...tutto regolare, niente di nuovo sotto il sole (anche se ancora deve sorgere)....
Un minuto dopo suona la mia sveglia (cinque e zerouno...é un mio vezzo metterla un minuto avanti le cinque, non so...da l’idea di prendersela comoda, boh...). Mi alzo curvo e indolenzito, l’umidità della notte mi ha mummificato in posizione fetale; prima di lavarmi esco fuori con le chiavi della macchina...l’arietta fresca delle cinque contro il mio petto nudo (solo il petto, non fraintendete) ha l’effetto dell’acqua gelida della fontana sotto l’abete per Heidi...dai presente?, la fontana dove sta Nebbia a fare il pisolino...). Toh, la mia vicina é già sveglia e da di ramazza contro un piumone invernale? Com’é possibile? –Sì, salve signora...sì, bene...grazie...come no...sì, vado su verso faenza...boh, speriamo...anche a lei...-, Entro in garage, tiro fuori la macchina facendo attenzione al pino...scendo e vado verso la mia bici...la tiro fuori e l’appoggio al muro della casa...la guardo, lei mi guarda...sarà dura ma siamo entrambi pronti. Incrocio lo sguardo dei miei cani, delinquenti che non siete altro, loro mi guardano, io li guardo...tre secondi di silenzio assoluto (anche la cicala che si é parcheggiata sul mio pino tace)...poi partono ad abbaiare, ad ululare, a guaire come dei matti...mi hanno scambiato per un assassino con le mani insanguinate che si é calato dalla finestra? Gli porto un biscotto a forma d’osso (uno ciascuno, quelli per pulirsi i denti, presente?)...per ora l’armistizio é firmato...sgranocchiano e tacciono, un occhio sul biscotto e uno su di me...controllano i miei movimenti. Faccio una colazione ricca di carboidrati come da regola...marmellata, crostata, succo di frutta...infilo tutina e maglietta...sono pronto!
Andare in bici alle cinque e quaranta di mattina é tra le cinque cose per cui vale la pena vivere...prima di dire qualsiasi cosa, provate...
Dopo cinque km arrivo al fossato delle nutrie e loro, appunto, se ne stanno lì con gli occhi porcini a sguazzare e a godersela...hanno trivellato tutto l’argine e non capisco come mai non sia ancora crollato...appena mi scorgono fanno giusto la mossa di nascondersi sotto il ponte, già se si passa alle sette di loro non c’é più nessuna traccia...
Poi in successione incontro Romeo, Cassius, il piccolo lord, e Dixan...giusto per informazione sono tutti gatti...e puntualmente tutte le volte che mi dirigo verso le colline faentine, succeda quel che succeda, loro son sempre lì a far le loro cose e mai una volta che buchino la presenza. Romeo é di pelo rosso, é grosso da far paura, e ha il muso da latinlover...insomma di gatto che non deve chiedere mai; si aggira sempre nei pressi del fossato delle nutrie e credo proprio che abbia puntato alla nutria di stazza più piccola (che comunque é sempre più grossa di lui), se il colpo gli riuscisse arriverebbe dritto all’inverno senza più l’angustia di doversi preoccupare di mettere qualcosa sotto i denti. Ammetto che ho un debole per Romeo ma il mio preferito é Cassius: l’ho chiamato così perché assomiglia al gattino preferito da hrabal (grandissimo scrittore ceco, consigliatissimo): Cassius é piccolo, secondo me avra suppergiù un anno...é completamente nero anche se non l’ho mai visto sulla pancia....a quell’ora é già in piena attività...lo trovo sempre in posizioni plastiche...con una zampina su e la coda stecchita come un baccalà...sembra sempre puntare qualcosa ma non l’ho visto mai prendere niente (anche se lo vedo solo quaranta secondi per volta)...si muove felpatissimo e per fare un passo ci mette mazz’ora, é magrissimo e ha una testa grossa come un pugno, la prossima volta gli porto un biscotto a forma d’osso...
Il piccolo lord lo incontro dalle parti di Cosina, un paese che in realtà non esiste perché io non l’ho mai visto...c’é solo un cartello e una fontana che funziona solo ad agosto (per fortuna). Il piccolo lord ha un vello (per lui è il termine giusto) color caffelatte e secondo me era il gatto di un nobile caduto in disgrazia...é un gatto tremendamente aristocratico, un aristogatto, e ho l’impressione che abbia un pò la puzza sotto il naso...Ultimo ma non ultimo é Dixan, Dixan se ne sta sempre tra i filari di un vitigno nella strada dei vini e dei sapori di Faenza...a quell’ora fa le pulizie di pasqua, si annusa e si lecca i gioielli di casa e altre cose che non sto a dirvi tanto già immaginate; Dixan é candido come la neve a parte la ciorla che gli impiastriccia sempre il muso.
Per la cronaca nel boschetto di montefortino uno scoiattolo piccolissimo con una coda enorme, (sicuramente di razza europea...non quei brutti ceffi americani che sembrano castori volanti) mi taglia la strada; mi manca solo il lupo dell’appennino e ho fatto tombola (affermazione non campata in aria, perché un pò di tempo fa é stato avistato da sté parti). Chiudono il cerchio degli incontri della giornata Ermete e un ciclista che incontro alla fontana che ai piedi porta dei mocassini (avete capito bene...dei mocassini! E li calza a pelle, non c’é ombra di calzino o pedalino o roba del genere). Ermete(nome fittizio) che da metà luglio sosta in cima al monte su una panda scassata verde militare della forestale.é un pensionato volontario della vigilanza contro gli incendi (sono mie supposizioni...ma credo abbastanza centrate). Se ne sta in auto e compila dei moduli, la portiera aperta per godersi il freschino della mattina...ogni volta che arrivo lì, trafelato e sudato come un maiale mi guarda con aria dura come se nella tasca al posto della barretta energetica avessi un innesco per appiccare incendi.......evidentemente non considera che se avessi velleità da piromane non mi farei cinquanta km in bicicletta (solo per l’andata) ma ci verrei direttamente in macchina.....Bhé insomma, per dire che partire alle cinque e rotte da casa sulla biciclettina é una gran goduria...

p.s.
sgrammaticato é sgrammaticato ma é scritto in un ritaglio di tempo e siccome volevo rendere omaggio a Cassius, Romeo, Il Piccolo Lord e Dixan...insomma, mi é sembrato giusto così...

venerdì 10 agosto 2007

La felicità degli zingari

Conosco un solo modo per fare felice mia nonna ossia chiederle di fare qualcosa per me; così stasera sono passato da lei e le ho chiesto se poteva prepararmi dei cappelletti per domenica.
Da donna più felice del mondo ha risposto che non c'era problema e io mi sono sentito un benefattore (anche se tra i due quello che si mangerà i cappelletti sono io e non lei). Sfumata la felicità per un attimo mi ha messo in guardia sul fatto che sulle nostre strade, da un pò di giorni, giravano degli zingari e di stare in guardia. Le ho risposto di stare tranquilla e di aver fiducia nelle persone. Poi ho pensato alle parole di Claudio Lolli e alle immagini della sua canzone che parla di zingari felici. Sono tornato a casa. Ho fatto un pò di cose masticando in testa pensieri del tipo che pure io sono un pò zingaro, di che intensità é la felicità degli zingari e se per caso ho mai visto uno zingaro felice...dopo queste belle generalizzazioni mi sono diretto al portone di casa, ho dato un bel giro di chiave e mi sono assicurato che fosse ben chiuso e a prova di scasso...
(sì, però...che brutta persona sono...)



Ho visto anche degli zingari felici (conclusione):

Siamo noi a far ricca la terra
noi che sopportiamo
la malattia del sonno e la malaria
noi mandiamo al raccolto cotone, riso e grano,
noi piantiamo il mais
su tutto l'altopiano.
Noi penetriamo foreste, coltiviamo savane,
le nostre braccia arrivano
ogni giorno più lontane.
Da noi vengono i tesori alla terra carpiti,
con che poi tutti gli altri
restano favoriti.

E siamo noi a far bella la luna
con la nostra vita
coperta di stracci e di sassi di vetro.
Quella vita che gli altri ci respingono indietro
come un insulto,
come un ragno nella stanza.
Ma riprendiamola un mano, riprendiamola intera,
riprendiamoci la vita,la terra, la luna e l'abbondanza.

E' vero che non ci capiamo
che non parliamo mai
in due la stessa lingua,
e abbiamo paura del buio e anche della luce, è vero
che abbiamo tanto da fare
e che non facciamo mai niente.
E' vero che spesso la strada ci sembra un inferno
o una voce in cui non riusciamo a stare insieme,
dove non riconosciamo mai i nostri fratelli.
E' vero che beviamo il sangue dei nostri padri,
che odiamo tutte le nostre donne
e tutti i nostri amici.

Ma ho visto anche degli zingari felici
corrersi dietro, far l'amore
e rotolarsi per terra.
Ho visto anche degli zingari felici
in Piazza Maggiore
ubriacarsi di luna, di vendetta e di guerra.

-C. Lolli-

giovedì 9 agosto 2007

Maledette milanesi!

Ho letto su un blog la parola limonare, parola che poi non si sente così spesso qui in romagna.....fa che non ti fa a me ha smosso ricordi antichi quanto l'uomo; avrò avuto nove anni e come ogni giugno passavo le vacanze a Lido Adriano, al tempo amena cittadina del litorale ravennate oggi Alcatraz della terraferma (da quello che sento dire in giro); comunque, mie vicine erano due ragazzine milanesi di un paio di anni più grandi di me, una era bionda l'altra mora come il poliziotto buono e quello cattivo, o il bene e il male...insomma avete capito. In bocca avevano sempre la parola limonare ed evidentemente mi avevano scelto come cavia dei loro esperimenti perché tutto il tempo in cui non stavo in spiaggia ero impegnato a scappare da quelle due ossesse che cercavano di applicare la parola limonare con me. Più che rifugiarmi in ogni angolo buio del circondario non potevo fare e comunque quelle due mi trovavano sempre e a forza mi imponevano il loro volere. E appena mia madre dava pista libera si intrufolavano pure in appartamento, mi strappavano il cuscino dalla faccia (mio ultimo rifugio) e il resto lo immaginerete....in quel contesto di sopruso, violenza e perdizione trascorreva la mia estate di bambino in fuga. Ma a quell'età uno non avrebbe il diritto di vivere spensierato e felice con la scusa che tanto le preoccupazioni arriveranno in futuro?

mercoledì 8 agosto 2007

I put a spell on you

Dai, inutile nasconderlo...la giornata fa davvero schifo........e allora io ascolto I put a spell on you (The Angels, contenuta nella Ost di Holy Smoke).......gran pezzo per le giornate uggiose........

Un suicida in certi casi non scende all'Inferno

In questi giorni di 39 anni fa terminava la primavera di Praga; eroe e martire di quel movimento fu Jan Palach, giovane studente di filosofia cecoslovacco che per protesta nei confronti della rivoluzione russa si cosparse di benzina e si dette fuoco in piazza San Venceslao...morì tre giorni dopo. La chiesa, in pieno fervore anticomunista, dichiarò: "Un suicida in certi casi non scende all'inferno". Io mi chiedo...quanti di noi, oggi, e per noi intendo italiani, francesi...insomma comodi figli della civiltà occidentale saprebbero darsi fuoco per un ideale? Va ricordato che altri giovani compagni di protesta di Palach si dettero alle fiamme nei giorni successivi oscurati dagli organi d'informazione già in mano all'armata rossa (potere dell'informazione...).

P.s.
Un appello al capitalismo:
se per caso leggi questo blog (dalla frequenza dei visitatori non credo) tieni giù le grinfie da Praga...l'hai già rovinata abbastanza...grazie

lunedì 6 agosto 2007

Le tre vite di angelique

Da buon cinefilo ho i miei film per l'estate...che quando proprio fa caldo caldo e non sai dove andare ti vengono in aiuto e grazie al caldo che non ti fa respirare si fanno gustare al massimo delle loro possibilità; uno di questi é Caro diario di Nanni Moretti (mancarlo, se in programmazione in un'arena estiva, é peccato mortale)......e giusto qualche estate fa me lo stavo rigustando con menta e ghiaccio a portata di mano... il film parte con Nanni che come al solito se ne va in vespa lungo i viali alberati di Roma e mentre si gode la strada estiva deserta in tutta la sua larghezza é accompagnato dalle note di un ritmo africano....aspetto la fine del film, spulcio i titoli di coda e scopro che la canzone in questione é Batonga di Angelique Kidjo...e qui scoppia l'amore...ma come si sa gli amori più intensi durano una sola stagione, e così di Angelique mi dimentico......due estati (o forse tre) fa steso sul divano in un luglio rovente avevo appena cliccato play di un dvd acquistato su internet...dovevo ancora decidere se mi piaceva o no quando, mentre una nave taglia il mare dello stretto di Gibilterra, una voce squarcia l'orizzonte...e l'amore riesplode...la canzone é Sénié e il film Lontano di andré Téchiné (film splendido e sfacciatamente estivo)........insomma per tagliare corto dopo una nuova dimenticanza Angelique mi é riapparsa davanti ieri nel suo video più ipnotico e psichedelico: Agolo...così ho rovistato tra i miei cd e ho rispolverato Logozo, il suo album più bello...e flirteremo fino alla fine dell'estate...

Il complesso dello stanzino buio

Durante questa mia porzione di vita (un terzo di secolo o l'età di Cristo) ho capito una cosa:
la giustizia nella mente maschile viene esercitata in uno stanzino buio per mezzo di un manganello; non chiedetemi perché ma é così. Se in televisione passano le immagini di uno che ha dato fuoco a un bosco o di un tizio stempiato che ha truffato dei poveretti quello che sta di fianco a me puntualmente sbotta: "datelo a me che lo porto nello stanzino..." facendo intendere dal sorriso sardonico che solo la piegatura del manganello potrà far cessare la sua furia punitiva.


Come tutte le turbe che riguardano la mente credo che questa patologia vada ricercata nell'infanzia ma non ne sono sicuro......